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DA ERODOTO – LE STORIE, CONTINUA IL LIBRO I – Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori 1956

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DA ERODOTO – LE STORIE, CONTINUA IL LIBRO I – Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori 1956

55 Dopo aver mandato i suoi doni a Delfi, Creso volle consultare il dio per la terza volta, poiché da quando aveva riconosciuto la veridicità dell’oracolo, vi ricorreva senza moderazione.

Nella consultazione egli chiedeva questo: se la sua monarchia sarebbe stata di lunga durata. La Pizia gli diede questa risposta:

< Quando un mulo diventerà re dei Medi, allora, o Lidio, dai delicati piedi, fuggi lungo l’Ermo sassoso; non ti fermare e non aver vergogna di esser pavido>

56 Quando gli giunse questa risposta Creso si rallegrò più che per qualsiasi altra cosa, convinto che giammai un mulo al posto di un uomo potesse salire sul trono dei Medi e che, quindi, egli e i suoi discendenti non avrebbero mai cessato di regnare.

In seguito, si diede cura di cercare quali fossero i più potenti dei Greci, per farseli amici e, cercando, trovava che Spartani e Ateniesi si distinguevano fra gli altri: i primi nella stirpe dorica, i secondi in quella Ionica.

Avevano, infatti, il predominio questi due popoli, ed erano uno di origine pelasgica (gli ateniesi), l’altro di origine greca. Il primo non si spostò mai dal suo paese, l’altro invece fece parecchie migrazioni. Al tempo del re Deucalione abitava la regione Ftiotide; sotto Doro, figlio di Elleno, il paese che si stende sotto l’Ossa e l’Olimpo, e che si chiama Istiotide; scacciato dall’Istiotide ad opera dei Cadmei, abitò in Pindo con il nome di Macedno; di là, poi, con un nuovo spostamento, passò nella Driopide; e quando dalla Driopide scese nel Peloponneso, fu chiamato popolo Dorico.

57 Quale lingua parlassero i Pelasgi non saprei dirlo con esattezza; ma se si deve trattarne, argomentandolo da quelli che ancora rimangono dei Pelasgi che, sopra i Tirreni, abitano la città di Crotone ed erano un tempo vicini a quelli che ora si chiamano Dori (abitavano allora il paese che ora è chiamato Tessagliotide) e di quei Pelasgi che, sull’Ellesponto, colonizzarono le città di Placia e Scilace e abitarono insieme agli Ateniesi, e da tutte quelle città che erano pelasgiche e poi cambiarono nome, se si deve dunque parlarne basandosi su queste congetture, i Pelasgi parlavano una lingua barbara. E se tale era la condizione di tutta la schiatta Pelasgica, il popolo Ateniese, che ad essa apparteneva, quando passò fra i Greci, dovette anche imparare un’altra lingua.

Infatti, neppure gli abitanti di Crotone hanno comunanza di lingua, con quelli che ora stanno loro intorno, e così quelli di Placia, che parlano come i Crotonisti, e danno in tal modo dimostrazione che essi conservano gelosamente quella particolare lingua che portarono con sé quando trasmigrarono nelle attuali loro sedi.

58 A quanto mi risulta il popolo greco, da quando si venne costituendo, sempre e costantemente usa la stessa lingua.

Staccatosi, debole ancora, dal ceppo Pelasgico, partendo da umili origini, si venne ampliando fino all’agglomerato attuale di popoli, essendosi ad esso accostate, di preferenza, molte popolazioni Pelasgiche e numerosi altri Barbari.

In confronto a questo, dunque, mi pare che nessun altro popolo di Pelasgi, essendo barbaro, abbia fatto mai così vasti progressi.

NOTA: In questi capitoletti Erodoto abbandona Creso (per poi ritornarci) e si dilunga in un complicato resoconto sulle origini e sulla lingua degli ateniesi e dei greci ad essi oggetti, tutti accomunati dalla provenienza Pelasgica, una provenienza da schiatta barbara, dalla cui cultura a poco a poco progredendo si staccarono, mantenendone però – gelosamente scrive Erodoto – la lingua. Ma il fatto più importante, riferito nella narrazione di oggi è questo: Creso non capì il responso della Pizia sul mulo che avrebbe governato i Medi. Infatti la Pizia non intendeva riferirsi ad un vero mulo, ma alle origine di Ciro, figlio di una principessa e di un uomo di povera condizione, e quindi di sangue misto come il mulo animale, figlio di un asino stallone e di una giumenta di cavallo; e Creso, come vedremo, pagò molto cara questa distorta interpretazione. Per quanto poi riguarda l’esclamazione della Pizia <o Lidio dai delicati piedi> essa si riferisce al fatto che, secondo la proverbiale al tempo mollezza dei Lidi, furono i primi ad indossare i calzari.

Luciano Magnalbo’

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