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Le fake news e le mancate correzioni. Un pericolo per tutti

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Le fake news e le mancate correzioni. Un pericolo per tutti

All’indomani del 14 luglio 2016, data della strage attuata da un integralista islamico a Nizza in cui morirono 84 persone fra cui 6 italiani, un blog  riportava le esternazioni dell’allora presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini: “Questi “terroristi” chiedono solo aiuto e comprensione, la colpa è nostra che non sappiamo capirli, chiedo scusa a tutto il mondo islamico perché abbiamo fatto perdere loro la speranza”. 

Falsa notizia, palesemente inventata, pubblicata per solleticare l’indignazione popolare e conquistare qualche click in più. Una “classica” fake news lanciata sui media per alimentare malevolenza e delegittimare gli avversari. L’agenda progressista di Laura Boldrini si era caratterizzata in passato per l’impegno su temi come i diritti, la parità di genere, l’integrazione e l’Europa. Qualcuno approfittò di quegli obiettivi per inventare di sana pianta notizie tendenti all’odio nei confronti del personaggio politico. 

Dal 20 marzo 2020, in piena emergenza sanitaria, il Ministero della Salute ha attivato una cartella sul proprio sito dal tema Covid-19- Attenti alle bufale, in cui sono contenute le fake news di questi mesi. Se ne contano ad oggi 70. Fra queste i farmaci antivirali prevengono l’infezione da nuovo coronavirus o mangiare tante arance e limoni previene il contagio perché la vitamina C ha azione protettiva nei confronti del virus e via dicendo.

Nonostante da più parti venga considerato un grosso problema, le fake news continuano a essere un vero pericolo per la democrazia e i giornalisti. Pericolo purtroppo ancora sottostimato. In una nazione dalla fragilità culturale come la nostra i fatti falsi possono attecchire facilmente in un pubblico predisposto, approfittando di quello strato di credulità che è sempre molto diffuso. Per  arginarle (visto l’impossibilità di eliminarle e prevenirle) ci sarebbero armi e modi semplici da seguire: verifica delle notizie e delle fonti e poi eventualmente le rettifiche. In un piccolo manuale di giornalismo leggiamo a proposito di quest’ultima buona usanza: “Dichiarazione scritta da chi ritiene di essere stato frainteso durante un’intervista o danneggiato da notizie errate e false. Il giornale è obbligato per legge a pubblicarla”. Inoltre quando la vicenda giudiziale prende una piega diversa rispetto alle premesse, è giusto informare l’opinione pubblica degli ultimi accadimenti giuridici. 

Quello che è successo l’anno scorso a una coppia di testimoni di Geova di Legnano mostra che, purtroppo, in generale non si fa niente di tutto questo, almeno nel loro caso.

Ricapitoliamo. Nel settembre del 2019 la coppia aveva fatto ricoverare la loro bimba di 10 mesi, vittima di una caduta, all’ospedale di Legnano, dove era stata sottoposta ad un intervento chirurgico per rimuovere un ematoma nel cranio. Dopo l’operazione, perfettamente riuscita e con la bimba fuori pericolo, il medico di turno aveva proposto ai genitori la somministrazione di sangue come terapia di supporto per far rialzare i valori ematici. Di fronte alla richiesta dei genitori di utilizzare terapie mediche alternative alle emotrasfusioni il medico aveva allertato prima i Carabinieri e poi la Procura, che aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale per i Minorenni il provvedimento di limitazione della responsabilità dei genitori.

La vicenda aveva suscitato grande clamore. Giornali e telegiornali avevano raccontato in modo poco fedele che la bambina si fosse salvata solo grazie all’intervento del giudice, che aveva autorizzato una “indispensabile trasfusione salvavita” negata dai genitori, trasfusione peraltro mai avvenuta perché non ritenuta poi necessaria. Nel giro di poche ore con il metodo copia/incolla circa 130 giornali dal Nord a Sud della Penisola riportavano così il fatto. Non era vero, ma nessuno aveva verificato. Sarebbe bastata anche una telefonata all’Ufficio Stampa del nosocomio coinvolto per capire che le cose non stavano proprio così. Ma la notizia tirava troppo… 

Una “quota di verosimiglianza”, come la chiamano gli esperti di fake, la si poteva trovare: 1) I Testimoni di Geova non accettano trasfusioni di sangue 2) La bambina  doveva operarsi 3) Un medico allertava i carabinieri e la Procura per il rifiuto delle emotrasfusioni… 

Ergo, titoli di giornali come questo per esempio: “Legnano, genitori contro la trasfusione: “Geova lo vieta”. Bimba salvata dal pm”. Una specie di sillogismo che neanche la Scolastica avrebbero accettato e insegnato ai suoi allievi nel Medioevo. Per di più non veritiero.

Qualche settimana fa con il decreto 1991/2020, però, la Corte d’Appello di Milano ha ribaltato la decisione del Tribunale per i Minorenni e fatto chiarezza sulla vicenda affermando che “il mero dissenso dei genitori alle trasfusioni di sangue in aderenza al credo religioso non può essere posto a fondamento di una valutazione di inidoneità all’esercizio della responsabilità genitoriale”. Secondo il collegio, i genitori avevano il diritto di chiedere ai medici, in aderenza al loro credo religioso, che la loro bambina venisse curata con strategie cliniche che non prevedessero l’uso di sangue senza che questa scelta pregiudicasse la loro responsabilità genitoriale.

Questa notizia, notevole anche da un punto di vista giuridico (stabilisce che è il giudice tutelare a dover intervenire e non il tribunale dei minorenni), stavolta non è diventata per usare un termine usuale anche se brutto di questi tempi, “virale”. Si contano sulle dita le testate che hanno pubblicato la decisione della Corte. Lo stesso giornale citato prima non prendeva nemmeno in considerazione l’ultimo sviluppo legale e infatti non si trova traccia dell’aggiornamento, vero questa volta. Idem per altre decine di testate comprese le più autorevoli. Insomma questa news, che doveva essere doverosamente diffusa anche per il rispetto della reputazione genitori oltre che per “la sostanziale verità dei fatti” evidentemente non avrebbe procurato molta audience e quindi non è stata pubblicata.

Una vicenda che lascia l’amaro in bocca e non solo per genitori sottoposti ad un’ingiusta e grave gogna mediatica, ma proprio per la mancanza della ricerca dell’oggettività nel menzionare fatti e notizie a vantaggio di un emotività spinta generatrice di rancore e avversione, specialmente se convogliata involontariamente o meno verso individui o movimenti minoritari. 

I risvolti delle fake news possono essere imprevedibili. Negli Stati Uniti qualche anno fa, durante la campagna elettorale americana del 2016 si diffuse una fake news passata alla storia come “pizzagate”. Narrava di un traffico di esseri umani all’interno di una catena di pizzerie vicina ad esponenti del Partito Democratico. Tutto falso, ma seguirono molestie, telefonate intimidatorie e assalti armati alle pizzerie. Se si semina vento si mieterà tempesta, recita un vecchio adagio. 

Le notizie non vere (ora le chiamiamo fake news), i falsi storici, le bugie dei potenti, le leggende o i racconti travisati dal popolino sono parte integrante della storia dell’umanità da sempre. Lo stesso Hitler suggeriva di dire sempre una grossa bugia perché più recepita rispetto a una piccola. E anche prima dell’avvento di Internet, il mondo dell’informazione non era immacolato e perfetto in quanto a verità e menzogna. Oggi però le bugie possono influire negativamente sull’opinione pubblica più che in altri periodi con l’enorme mole di informazioni a disposizione e la facile trasmissione dei contenuti. Dovrebbe essere tenuto in conto, specialmente in un momento di grande incertezza sociale ed economica come quello attuale dove le tensioni sociali sono forti e tutto si esaspera facilmente.

“Calunniate, calunniate… qualcosa resterà” osservava amaramente Rousseau o forse Voltaire qualche secolo fa. Certo che nel XXI secolo la ragione non guida l’uomo come sognavano i due filosofi ma superstizione, credulità e guerre ideologiche sembrano crescere, specialmente sul web. 

Diceva Umberto Eco, che chi una volta la sparava grossa dopo aver bevuto al bar, una volta accompagnato a casa si acquietava. Oggi invece scrive su un computer. Triste e disdicevole che in alcuni casi lo stesso tizio scriva in una testata giornalistica.

Roberto Guidotti

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