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“Triangoli viola e Nazismo, una resistenza civile e spirituale”. Intervista allo storico Claudio Vercelli

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“Triangoli viola e Nazismo, una resistenza civile e spirituale”. Intervista allo storico Claudio Vercelli

Seppur in condizioni limitate a causa delle restrizioni sanitarie, anche quest’anno istituzioni, associazioni, scuole (per quel che è possibile), programmi televisivi e film si focalizzano sul ricordo di quell’immane tragedia che fu lo sterminio del popolo ebraico (Shoah) e di altre milioni di vittime, provocato dal regime nazista. Di questa ricorrenza e in particolare della persecuzione di una delle “categoria” di vittime, i Testimoni di Geova (Bibelforscher), parliamo con Claudio Vercelli, storico, docente e giornalista, che oltre ad aver scritto saggi sull’Olocausto, le deportazioni e stermini del ‘900, il Fascismo, le leggi razziali, il negazionismo, nel 2012 ha pubblicato il libro Triangoli viola – Le persecuzioni e le deportazioni dei testimoni di Geova nei Lager nazisti.

Dottor Vercelli, oltre vent’anni fa, veniva istituito il Giorno della Memoria: quali sono stati gli aspetti positivi della ricorrenza e cosa non è stato fatto o non ha funzionato in questi anni?

“Senz’altro possiamo fare un primo bilancio. Che tuttavia non è facile. In quanto deve tenere in considerazioni molti aspetti. Un importante elemento è la diffusione nelle scuole. Un obiettivo fondamentale che è stato per alcuni aspetti raggiunto. Se alcuni decenni fa lo sterminio razzista per eccellenza, la Shoah, era un oggetto pressoché sconosciuto – al netto degli studiosi e dei testimoni in quanto tali – oggi c’è invece una maggiore comprensione degli eventi di quel passato e del loro lascito etico, civile e politico nelle società presenti.

Non di meno, un rischio che si corre, al netto delle intenzioni formulate dalla pedagogia pubblica, è quello per cui ogni fenomeno storico che sia fatto oggetto di ricorrenze istituzionali può cristallizzarsi in una serie di ritualità che, nel tempo, perdono il loro spessore verace ed autentico.

Lei si è occupato tra i pochi, della vicenda dei Triangoli Viola, ovvero la persecuzione dei Testimoni di Geova sotto il nazismo. Come spiega gli scarsi approfondimenti storici intorno a questa vicenda? 

Identificherei due aspetti. Il primo è la scarsa vocazione autobiografica della congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Ovvero, la mancata propensione a raccontarsi, facendo di sé anche una storia secolarizzata del divenire movimento universalista, al di fuori dello stesso confine segnato, di volta in volta, dal movimento medesimo nella sua concreta progressione. Per i testimoni di Geova il destino dei loro correligionari si inscrive in un tempo senza storia, quello del cristianesimo inteso anche come una linea di continuità, che si dipana nel corso dei secoli. La morte dei lager diventa quindi vero e proprio «martirio», che si ricollega al destino dei primi cristiani.

Il secondo aspetto è invece esogeno, ossia rimanda al mondo esterno. La ricezione della complessità e della stratificazione delle persecuzioni (e poi degli assassinii) durante gli anni del Terzo Reich, a guerra finita ha faticato ad affermarsi. L’indistinzione della categoria generalizzante di «vittime» (tutte eguali – per alcuni aspetti – nel merito del loro destino ma anche molto diverse, tra di loro, per le ragioni che le avevano portate a subire le violenze) non ha aiutato fino a tempi più recenti a capire invece le diverse traiettorie.

Non di meno, continua a contare un diffuso sospetto, che a volte si fa avversione, nei confronti di un gruppo che intrattiene al suo interno rapporti molti forti, comunicando all’esterno soprattutto attraverso la predicazione e il proselitismo. La competizione tra culti strutturati fa quindi ancora da velo all’accettazione del dato storico delle persecuzioni nei riguardi dei testimoni di Geova. Sta agli storici, quindi, sbrogliare la matassa. 

In virtù delle peculiarità del movimento costituito primariamente da “ariani”, secondo la pseudo-classificazione nazista, c’è chi ha definito i Triangoli Viola dei martiri o dei resistenti e non solo vittime. Qual è il suo parere?

La  mia opinione è che ci si debba intendere sul senso delle parole, cercando quindi di identificare dei significati condivisi. La lettura che all’interno della denominazione cristiana dei testimoni di Geova si dà delle persecuzioni privilegia l’aspetto del sacrificio consapevole. Quindi, come già affermavo, del «martirio» in quanto espressione più alta non solo del proprio credo ma anche della testimonianza terrena, in forma pressoché sacrificale, del rapporto esclusivo con l’entità divina. Anche per un tale ordine di considerazioni, il rimando al termine «Olocausto» (l’etimologia indica: «bruciato per intero, completamente bruciato», riferito a cerimonie sacrificali di civiltà antiche) non ha alcun senso per definire il destino di buona parte degli altri gruppi colpiti e in parte annientati nel sistema concentrazionario, mentre assume una qualche efficacia se ci si sofferma sui testimoni di Geova. I quali non erano perseguitati per ragioni razziali, non per questioni politiche e neanche per una qualche pericolosità sociale particolarmente pronunciata.

Semmai il meccanismo che il regime aveva innescato definiva la loro pervicace religiosità come un atto di sovversione politica, in quanto metteva in discussione – non importa se in dimensione minoritaria, posto che la denominazione aveva all’epoca un numero di aderenti contenuto, nell’ordine di 25mila tedeschi su 70 milioni di connazionali – il totalitarismo non solo ideologico ma angosciosamente conformistico che il nazionalsocialismo praticava come moneta quotidiana nei rapporti sociali.

La resistenza civile e spirituale dei testimoni di Geova si inquadra in quest’ordine di considerazioni. Non deriva solo da un atto di consapevole disubbidienza (posto che Hitler fu identificato come figura satanica) ma da una condizione per la quale ben presto il regime identificò i membri di questo piccolo movimento come esponenti di un agire sovversivo, per il fatto stesso che non si fossero sciolti come organizzazione (a quel punto pur clandestina).

La vicenda dei Bibelforscher, come gruppo religioso, offre spunti di riflessione sul comportamento delle chiese. La studiosa americana Susannah Heschel ha affermato che se i cattolici e luterani avessero agito come i Testimoni, forse la storia sarebbe stata diversa. Concorda con questa tesi?

È facile assentire. Tuttavia la posizione delle chiese concordatarie era estremamente diversa da quella di un piccolo movimento religioso, animato perlopiù da un fervore a tratti mistico. Il problema, quindi, è di spostare il baricentro dall’analisi di come si comportarono dinanzi al nazismo soggetti collettivi quali le chiese, e gli stessi movimenti religiosi minoritarie, al clima di compromissione (per la coesistenza) e collusione amorale che il regime medesimo da subito incentivò in tutta la società tedesca. Si trattava di una strategia di cooptazione, che funzionò per una parte rilevante del cattolicesimo e del protestantesimo germanici. Che erano organismi complessi, tali poiché non solo di matrice religiosa ma anche con forti addentellati civili e sociali.

Non di meno, la forza del totalitarismo sta, il più delle volte (avendo identificato e additato da subito al pubblico ludibrio i gruppi da emarginare e perseguitare in quanto «minaccia» collettiva) nella capacità di creare – al medesimo tempo – meccanismi di cooptazione delle maggioranze dentro un sistema che ha anche una natura clientelare. Poiché nel mentre distrugge le opposizioni, annichilisce il pluralismo civile, livella la coscienza morale, si adopera anche per generare un consenso intorno a sé, facendosi garante di spregiudicate politiche non solo repressive (verso i «nemici») ma anche inclusive: chi era «ariano» e assentiva al regime, poteva godere di un sistema di vita che gli offriva l’illusione di una falsa normalità.

Ciò su cui dovremmo quindi soffermarci è semmai il costante bisogno di conformismo, e quindi di autoinganno, che aleggia sulle società del Novecento così come su quelle nelle quali viviamo. È questo la leva più forte per ridurre all’impotenza ogni forma di pensiero critico”. 

Nel 2021 sono programmate le uscite degli ultimi lavori di Claudio Vercelli: Neofascismo in grigio (Einaudi, Torino, in uscita il 26 gennaio 2021), Il sionismo. Tra diaspora e Israele (Carocci, Roma 2021) e Metamorfosi d’Israele. Dieci quadri strategici ed un percorso di significati (Laterza, Roma-Bari 2021).

Roberto Guidotti

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