giovedì, Aprile 25, 2024
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Petre Roman: “Non dimentico i compagni uccisi dalla Securitate sulla barricata”

Petre Roman

Petre Roman: “Non dimentico i compagni uccisi dalla Securitate sulla barricata”

Il padre Valter, partigiano in Spagna e avversato dal regime comunista. La nascita del dissenso contro la repressione di Ceaușescu che sfocerà nella Rivoluzione dell’89. Il contributo essenziale nella costruzione della Romania democratica che oggi è un avamposto della NATO nello scacchiere della nuova guerra fredda. Un dialogo con uno dei protagonisti della storia del Novecento, il Professor Petre Roman, già primo ministro della Romania e da poco Preside della prestigiosa Swiss UMEF University di Ginevra.

Complimenti per il nuovo incarico. Che cosa l’ha convinta ad accettare la proposta della UMEF e come pensa di poter migliorare la già ottima offerta formativa? Quale è la sua visione dell’insegnamento?

“In Romania, prima di partecipare attivamente alla Rivoluzione, ho insegnato: è un ritorno a quello che ho fatto per molto tempo e con passione. Ho avuto il piacere di conoscere questa prestigiosa università grazie a Salvatore Lombardo, un grande giornalista e intellettuale, che mi ha coinvolto nell’Executive Master in Relazioni Internazionali e Cooperazione Globale. Il master è molto prestigioso perché raccoglie esperti da tutto il mondo, tra cui altri ex capi di stato come me. Sono stato subito convinto perché la UMEF è un’università aperta al mondo e ha filiali ovunque. La sede, poi, è un castello del Quindicesimo secolo: meraviglioso! Le classi dirigenti globali si trovano a dover governare nella spesso totale imprevedibilità e con informazioni asimmetriche, noi ci proponiamo, attraverso l’educazione, di fornire loro gli strumenti per leggere la complessità e agire. Gli oltre quaranta esperti parleranno a una platea di giovani esperti che potranno far tesoro delle loro e nostre esperienze, che torneranno utili nei momenti difficili di gestione della cosa pubblica.”

La politica si è respirata da sempre nella sua famiglia. Quanto ha influito suo padre?

“Moltissimo. Mio padre è stato un antifascista generoso, sempre disposto a sacrificarsi per l’ideale di libertà e spesso ha rischiato la vita per la libertà degli altri. È stato volontario in Spagna, comandante della brigata internazionale. Lo cita perfino Hemingway in “Per chi suona la campana”. In Romania, dopo la guerra, ha subito una forte repressione. Stalin odiava le persone come lui che si erano battute per la libertà: erano una minaccia. È stato arrestato più volte ma il regime comunista in Romania si dimostrò più blando che altrove e quindi ebbe salva la vita. È stato anche impegnato negli organi dello Stato. Era direttore della rivista politica, Editurii Politice. Grazie a quel ruolo, ebbe rapporti con i partiti comunisti europei: era amico di Longo e Berlinguer. Iniziò a credere nell’eurocomunismo perché vedeva, giustamente, che il regime comunista, per come si era costituito, tendeva a preservarsi, ad essere impermeabile ai cambiamenti e alla società, a essere irriformabile, dunque destinato a fallire.”

In quel momento inizia a maturare un dissenso verso il regime?

“Le vicende di mio padre hanno influito. Un momento che mi ha convinto a impegnarmi è stato quando, nel 1987, la Securitate venne alla mia Università – allora ero Capo del Dipartimento di Scienza Idraulica – per illustrare una nuova legge contro il dissenso: in sostanza si poteva arrestare, molto arbitrariamente, chiunque si esprimesse fuori dall’ortodossia. Ero sconvolto e non riuscivo a tacere: mentre tutti i paesi del Patto di Varsavia, e la stessa Russia, facevano passi avanti verso le libertà e le riforme noi stavamo tornando indietro. Mi alzai in piedi e lo dissi chiaramente: era una legge stalinista mentre tutto il mondo va verso una fase nuova. Ci fu silenzio tombale. Nessuno dei colleghi fece nulla ma anche il colonnello rimase stupito da quel mio gesto e non mi arrestò. Posso dire che da lì è iniziata un’altra storia.”

Abbiamo accennato al regime comunista romeno. Più volte nella sua storia recente, pur aderendo al Patto di Varsavia, la Romania, anche sotto Ceausescu espresse una linea autonoma da Mosca, anche sulle questioni internazionali come il Vietnam e lo Stato di Israele.

“I rapporti con il mondo occidentale ci sono da sempre: la Romania è parte e figlia della cultura europea e ancor prima latina. La Romania, anche negli anni più cupi della guerra fredda, ha spesso cercato una via diversa da quella perseguita da Mosca. Pensiamo agli inizi degli anni ’60 quando avvia un piano di industrializzazione sfruttando le risorse naturali, ovvero il petrolio. La Romania non aveva le tecnologie necessarie ma furono inviati degli esperti negli Stati Uniti per reperirle. L’unica condizione è liberare i prigionieri politici, e così avviene. Grazie a quell’intuizione dei nostri dirigenti e alle tecnologie statunitensi nasce una buona industria chimica e petrolchimica. Su questa linea di cauta apertura si inserisce intelligentemente Ceaușescu che all’inizio dimostra di dar seguito alle istanze di modernizzazione. La Romania non viene invasa dai carri sovietici e questo sicuramente è un fatto positivo. Anzi, minaccia di chiedere aiuto ai cinesi che, a loro volta, si dimostrano disponibili a intervenire. Nel 1971 va in Corea del Nord, torna in Romania e sostiene che quello dovrebbe essere anche il nostro modello, un modello per nulla desiderabile”.

Il momento più difficile nella tua lotta per la libertà?

“Sulla barricata in piazza dell’Università, di fronte all’Hotel Inter. C’ero anche io quando la Securitate e la polizia hanno iniziato il massacro. Era quasi mezzanotte del 21 dicembre ’89. Degli ottantuno che eravamo, trentanove vengono uccisi e tra di loro diciassette avevano meno di diciotto anni. Dio ha deciso di conservare la mia vita ma avrò sempre un debito con quelli compagni uccisi senza nessun scrupolo per ordine di Ceaușescu”.

Come è stato possibile costruire un sistema democratico in Romania?

“Per noi è stato estremamente più difficile. Gli altri paesi ex socialisti, includendo anche l’URSS, erano entrati in una fase di apertura. L’unico paese rimasto indietro era la Romania che anzi andava verso qualcosa di simile allo stalinismo. La rivoluzione romena è tragica e sanguinosa, a differenza di quella polacca, perché si trovava contro un regime che aveva fatto di tutto per preservarsi e per invadere ogni ambito della vita. Quando ero al governo ho dovuto fare i conti con una situazione economica devastante. L’economia era di stampo prettamente stalinista. L’Istituto Nazionale di Ricerca mi confermò che quasi l’80% dei prodotti industriali era sovvenzionato. Impensabile per un’economia normale e insostenibile per lo Stato. Per fortuna, ho avuto fin dall’inizio il sostegno e la fiducia del popolo romeno. Preparai una strategia di riforma e intervenni in economia guidando la liberalizzazione del mercato. La libertà economica ci ha salvato dal disastro e ha portato all’implementazione del modello democratico”.

Come valuta la crescente tensione tra Russia e NATO, di cui la Romania è parte integrante?

“Dopo il 1992 il mio governo viene fatto cadere con quello che possiamo chiamare un colpo di stato. È stato un colpo di coda della Securitate che, perso il potere, tenta di riconquistarlo rapidamente ostacolando la nostra transizione verso il mondo libero. Per fortuna non riuscendoci. Il processo di adesione alla NATO non è immediato né semplice. Gli stessi occidentali all’inizio temono che questo possa infastidire la Russia, che questa possa sentirsi colpita al cuore. La mia visione è e rimane questa: aderire alla NATO, stare nella NATO, collaborare sempre ma non contro la Russia. Lo scontro con la Russia non conviene a nessuno, né a noi né ai russi, che sono – Putin lo sa bene – molto vulnerabili. Ugualmente in Europa non c’è unità d’intenti. Orban si smarca e dialoga con Russia e Cina, la Germania persegue una linea autonoma. Biden si sta comportando in modo molto incomprensibile, in questo e in altri scenari strategici. Non condivido questo irrigidimento dei rapporti, bisogna sempre esperire la via diplomatica e non è mai troppo tardi per cercare una mediazione. Anche perché la Russia è lontana, può essere ostile ma è parte culturalmente dell’Europa e del mondo occidentale. I russi hanno sempre avuto un’ottima diplomazia, che guarda nel lungo periodo, gli americani peccano di poca lungimiranza e questo li ha portati a commettere molti errori, anche di recente. Stanno approcciando male anche il confronto con la Cina, che ragiona in modi completamente diversi. Solo la prima fase della diplomazia di Kissinger ebbe successo con i cinesi…”

Abbiamo accennato ai rapporti tra Romania ed Europa, come immagina l’Unione nel prossimo futuro?

“Di fronte alle sfide globali che ci si presentano l’Unione Europea può e deve iniziare ad agire come una superpotenza, altrimenti rischia di esaurire la sua funzione. Il punto più critico, e l’ho sottolineato più volte, è l’assenza di una politica per l’Africa”.

E il rapporto tra il popolo italiano e romeno?

“C’è molto più di una cooperazione tra i nostri popoli. Gli italiani hanno accolto i romeni e la Romania è un punto di riferimento per gli investimenti degli italiani. Quando ero premier ho avuto ottimi rapporti con Roma e con una persona in particolare, Giulio Andreotti, che aveva una lucidità incredibile. I nostri popoli sono vicinissimi anche grazie alla comune radice latina”.

fonte: https://iltazebao.com/petre-roman-a-life-for-freedom/

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