giovedì, Marzo 28, 2024
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Una storia romana – tante domande, poche risposte

una storia romana

Una storia romana – tante domande, poche risposte

Ospedale romano. Una persona da quindici anni entra in una sala operatoria di ortopedia e svolge la funzione di chirurgo. Deve essere bravo se al momento del “disastro”, così lo definiranno i media romani, era il “caporeparto di ortopedia”.

Quel giorno questo uomo entrò in sala operatoria come tante altre volte per operare ad una mano una persona che in quel nosocomio era stata ricoverata. Durante quell’ intervento chirurgico compierà un errore ed il paziente rimarrà paralizzato a quella mano.

Intervento “grossolanamente svolto” scriverà il consulente tecnico nominato dal tribunale dopo aver scoperto che questo “chirurgo” non si era mai laureato in medicina, tantomeno presa la specializzazione in ortopedia ne, non poteva esserlo, risultava iscritto all’albo.

Da un lato un intervento “errato” compiuto da una persona che non aveva i titoli per entrare in una sala operatoria, dall’altro la stessa persona che in quella sala operatoria entrava tutte le settimane da quindici anni ed operava altre persone, probabilmente negli anni qualche migliaio.

Tutto questo nella Asl Roma 1.

Quindici anni trascorsi in sala operatoria diventando addirittura il capo dell’equipe di Ortopedia all’ospedale San Giacomo dicevo. Un “chirurgo di fatto”. I cui interventi sono apparentemente tutti riusciti dato che solo dopo quindici, dicesi quindici, anni una assicurazione, non la ASL, si è accorta che “qualcosa non andava”. Si è accorta che il “chirurgo di fatto” non era mai stato un “chirurgo di diritto”.

Molte le domande da questa storia.

Per esempio un “cittadino semplice” come me si chiede se la relazione del consulente tecnico del tribunale sarebbe stata scritta con tanta “durezza” se il chirurgo indagato fosse stato un “chirurgo iscritto all’albo”. “Errore grossolano” ha scritto il consulente nella sua relazione.

Le esperienze della nostra vita, almeno della mia, portano a far pensare a noi “cittadini semplici” che le “caste”, in questo caso quella dei medici, tendano ad essere conpassionevoli, se non omertose, nei confronti degli errori dei propri colleghi. Ma questo “chirurgo di fatto” non era un collega.

La mia seconda domanda è se un uomo che in quindici anni lavora in un ospedale pubblico, cura persone, probabilmente svolge in prima persona qualche migliaio di interventi chirurgici, può essere ritenuto ancora un usurpatore del titolo di medico chirurgo.

Se non fosse stato un medico “competente” come può essere possibile che nessuno dei suoi colleghi abbia alzato un dito in quindici anni? Erano tutti ancora meno competenti di lui, tanto da farlo nominare “capo reparto”, oppure questo “chirurgo di fatto” era competente?

Terza domanda: quanti nella burocrazia non hanno controllato i suoi titoli in questi quindici anni? Quanti hanno svolto con poca diligenza il loro compito di controllo? Conseguentemente in quanti hanno perso il proprio lavoro per tanta e tale negligenza?

Ecco un “cittadino semplice” come me nota in questa storia molto di più di quanto i media vogliono far notare. Da un lato un “usurpatore di titolo”, dall’altro probabilmente tanti “burocrati negligenti”.

La nostra amata Italia non potrà mai partire verso un nuovo boom economico e sociale se non vedrà una reazione contro questi comportamenti corporativi.

Comportamenti corporativi che riguardano tutte le “caste”.

L’Italia delle corporazioni che, allo stesso tempo, è l’Italia del individuo, del singolo, dell’ egoismo.

Una Italia senza voglia di “comprendere”, comprendere a fondo le tante “verità” di cui non si sono rese pubbliche le “verità vere”.

L’Italia delle stragi senza risposte. L’Italia dei “misteri”.

L’Italia dei depistaggi.

Vi, e mi chiederete, quale il legame fra la prima parte di questo mio scritto e questa seconda parte? Semplice, è sempre un problema di “caste” e di mancanza di cultura del dubbio.

Se vogliamo, noi “cittadini semplici”, dare un futuro felice ai nostri figli è arrivato il momento di ragionare con il “noi” e non con l’”Io”. In fondo essere parte di una “casta” non vuol dire usare il “noi” ma un “Io collettivo”.

Ignoto Uno

Fonte http://www.ettorelembonews.it/index.html

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