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La Crociata del 1306-1307 contro Fra Dolcino

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La Crociata del 1306-1307 contro Fra Dolcino

Prof.Giorgio Giannini

Nel marzo 1306 il Papa Clemente V bandisce la crociata contro gli eretici dolciniani, seguaci di Fra Dolcino, che si conclude il 23 marzo dell’anno seguente con la cattura e la successiva condanna a morte sul rogo di Dolcino.

Sui primi decenni della vita di Dolcino si hanno pochissime notizie, tanto che non è certo né il luogo né l’anno di nascita e neppure il suo vero nome. La maggior parte delle poche informazioni su di lui sono dovute ad alcuni “cronisti” del tempo ed all’inquisitore domenicano Bernardo Gui, che istruì numerosi processi contro i dolciniani e che scrisse  il De secta illorum qui se  dicunt esse de ordine Apostolorum (Sulla setta di coloro che dicono di appartenere all’ordine degli Apostoli). L’altra opera che parla di Dolcino è l’Historia Fratris Dulcini heresiarchae (Storia di Fra Dolcino eretico) di autore anonimo.

Gli studiosi ritengono che Dolcino si chiamava Davide Tornielli e che era nato a Prato Sesia (Valsesia-Vercelli) intorno al 1250.  Secondo Bernardo Gui era il figlio illegittimo del Parroco del paese.

Da ragazzo Dolcino vive a Vercelli, dove è allievo del “Magistro Syon” (autore del codice Doctrinale  novum) nella chiesa di Sant’Agnese. È affascinato dagli ideali di ispirazione pauperistica, molto diffusi in quel periodo, che predicano la povertà evangelica ed uno stile di vita vicino a quello di Gesù e delle prime comunità cristiane.

Nel 1291 aderisce al Movimento degli Apostoli (chiamato anche Movimento degli Apostolici), condannato per eresia nel 1286 dal Papa  Onorio IV, e fondato da Gherardo Segalelli.

I membri del Movimento degli Apostoli, chiamati anche boni homines (uomini pii) e che si chiamano “fratelli” tra di loro (probabilmente per questo motivo Dolcino è chiamato Fra Dolcino, perché non sicuro che sia stato un frate) conducono una vita ascetica, pregando e digiunando spesso. Molti lavorano, ma altri vivono di elemosina. Tutti vivono in povertà, mettendo in comune i beni. Non sono obbligati al celibato. Predicano l’obbedienza solo alle Sacre Scritture, sostengono il diritto anche dei laici di predicare (cosa incredibile per quei tempi dato che la predicazione era riservata solo ai religiosi) ed affermano l’imminenza del castigo divino per gli ecclesiastici corrotti, che vivono nell’opulenza. Inoltre sostengono che si deve disobbedire perfino al Papa se non segue i precetti evangelici. I neofiti vengono ammessi al Movimento “ignudi”, per rappresentare chiaramente la “rinuncia  ai beni terreni”, come aveva fatto nel 1206 Francesco di Assisi, figlio de ricco mercante Bernardone, che si era denudato nella Piazza di S. Maria Maggiore, davanti al Vescovo, che poi lo aveva coperto con il proprio ricco mantello.    

Nell’anno santo 1300 Segalelli è condannato a morte come eretico ed arso vivo sul rogo. Dopo la sua   morte, Dolcino prende la guida del Movimento degli Apostoli ed espone in una lettera ai seguaci le sue convinzioni religiose. In particolare ritiene che è imminente l’inizio dell’ultima delle quattro epoche della Storia della Chiesa, che avrebbe segnato la fine della degenerazione dei costumi dei religiosi e l’inizio di una Chiesa. Al riguardo,  alcuni teologi Protestanti hanno considerato Fra Dolcino un antesignano della Riforma.  

Dolcino predica in vari posti dell’Italia settentrionale, anche in Trentino, dove è accertato un suo soggiorno ad Arco, vicino al lago di Garda. Nel 1303, mentre predica nella Valli Giudicarie, conosce la giovane (e bellissima) Margherita Boninsegna, originaria di Cimego  (vicino a  Condino, nella Val di Chiese), che diventa la sua compagna non solo nella vita, ma anche nella predicazione.

Dato che Dolcino è un ottimo comunicatore e suscita un grande fascino, aumentano gli aderenti al Movimento degli Apostoli, che  dal suo nome vengono chiamati dolciniani. 

Il Papa Bonifacio VIII, di cui Dolcino profetizza la fine imminente, intensifica la persecuzione del Movimento. Probabilmente, per questo motivo, Dolcino ritorna nel Vercellese, dove nel 1304, grazie al sostegno militare di Matteo Visconti (nipote di Ottone Visconti, signore di Milano), costituisce nell’Alta Valsesia una “zona” nella quale insedia la sua Comunità e dove può predicare liberamente. Al riguardo, sembra che abbia soggiornato   vicino a Rassa, nella Val Grande.

In seguito, avendo perso l’appoggio di Visconti, sicuramente in seguito alle pressioni del Papa, Dolcino si rifugia sul Monte Rubello (che significa “monte dei ribelli”), sopra Trivero, nel Biellese, dove fa costruire delle fortificazioni difensive, in attesa della realizzazione delle profezie, oggetto della sua predicazione,  in particolare dell’avvento della “nuova era della Chiesa”.

All’inizio del 1306 il nuovo Papa Clemente V bandisce la crociata contro gli eretici dolciniani. Nel marzo il Vescovo di Vercelli, Raniero degli Avogadro, in accordo con il Comune di Vercelli e con il Vescovo di Novara, riunisce un potente esercito, anche con mercenari, in particolare balestrieri genovesi.  Per fiaccare la resistenza dei dolciniani, le truppe vescovili assediano la loro sede sul Monte Rubello e nel contempo infieriscono sulla popolazione locale, per fiaccare il loro sostegno ai seguaci di Dolcino. Questa condotta spregiudicata ottiene il risultato voluto perché. Per dimostrare che la popolazione locale aveva abbandonato Dolcino, alla fine del XVIII secolo il frate Filippo Da Rimella rende pubblico un documento, da lui rinvenuto, chiamato Statuto di Scopello, redatto il 24 agosto 1305, nel paese di Scopa, nella chiesa di San Bartolomeo, secondo il quale gli abitanti della Valsesia e delle altre Valli vicine avevano giurato sui Vangeli di fare la guerra contro i dolciniani fino al loro totale sterminio.  Successivamente il documento è dichiarato falso.

Il 23 marzo 1307, durante la Settimana Santa, la base degli “eretici” sul Monte Rubello è espugnata dalle truppe vescovili. Gli ultimi dolciniani sopravvissuti alla battaglia sono immediatamente giustiziati, ma Dolcino, Margherita e Longino da Bergamo (il più stretto collaboratore di Dolcino) sono catturati e portati a Biella, dove sono processati e condannati a morte sul rogo, come eretici.

Il 1 giugno 1307 Dolcino è costretto ad assistere alla morte di Margerita e di Longino, bruciati vivi sulla riva del torrente Cervo, vicino a Biella. Quindi lui è torturato e poi arso vivo sul rogo. Però l’Anonimo Fiorentino (uno  dei primi commentatori della Divina Commedia) ha scritto che Dolcino  fu bruciato sul rogo prima di Margherita, che rifiutò di pentirsi ed affermò che sarebbe risuscitato il terzo giorno dopo la morte, come Gesù.

Invece un altro cronista del tempo, Benvenuto da Imola (altro commentatore della Divina Commedia) ha scritto che Dolcino è stato processato a Vercelli e che dopo la condanna a morte è stato trasportato con un carretto attraverso la città, in modo che tutti lo potessero vedere incatenato. Quindi è stato torturato ed orribilmente mutilato ed infine è stato arso vivo sul rogo, davanti alla Basilica di Sant’Andrea.

Dolcino è citato nella Divina Commedia nei versi 55-60 del Canto XXVIII dell’Inferno, nella sesta bolgia,  quella degli eretici.  Però negli anni in cui Dante scrive la sua opera, Dolcino è ancora vivo. Quindi è Maometto, che si trova nella stessa bolgia, che preannuncia a Dante l’imminente arrivo di Dolcino. Questo era l’espediente usato dal “sommo poeta” (chiamato delle “profezie”) per citare i personaggi che erano ancora viventi.

Nell’Ottocento, con l’affermazione della libertà di pensiero, nasce il mito di Dolcino, anche come antesignano del Socialismo.

Nel giugno 1907, in occasione del seicentesimo anniversario della morte di Dolcino, per iniziativa  soprattutto dell’economista Emanuele Sella (originario della zona di Biella), è inaugurato sul Monte Rubello, alla presenza di   circa 10.000 persone, un obelisco di 12 metri, che  nel 1927 è abbattuto dai fascisti.

Sempre nel 1907 è posta nell’androne della ex convento di San Graziano, a Vercelli, una lapide in ricordo di Dolcino.

Nel 1974, per iniziativa di Gustavo Buratti (chiamato Tavo Burat), fondatore nello stesso anno del Centro studi dolciniani, è eretta sul Monte Rubello una stele, alla presenza anche di Dario Fo e Franca Rame, che poi inseriscono la storia di Dolcino nella nuova versione del Mistero Buffo (giullarata popolare), rappresentata per la prima volta nel 1969.

Anche Umberto Eco è stato colpito dalla storia di Dolcino ed ha inserito nella sua opera più famosa Il nome della rosa, pubblicata nel 1980, due personaggi (Remigio da Varagine, il cellario-addetto alla cucina dell’abbazia, ed il suo aiutante Salvatore), che sono accusati di essere dolciniani e quindi condannati al rogo come eretici.

Varie manifestazione ci sono state tra la fine del 2005 e l’inizio del 2007, in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dolcino.

Ogni anno, la seconda domenica di settembre, il Centro studi dolciniani, con sede a Cossato, organizza un Convegno su Dolcino e la commemorazione della sua morte sul rogo sul Monte Rubello. 

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