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Anticipazioni per il Grande Teatro di Eschilo in TV del 13 agosto alle 15.50 su Rai 5: “Prometeo incatenato” dal Teatro Greco di Siracusa

prometeo incatenato

Anticipazioni per il Grande Teatro di Eschilo in TV del 13 agosto alle 15.50 su Rai 5: “Prometeo incatenato” dal Teatro Greco di Siracusa – Leo Muscato dirige la tragedia di Eschilo “Prometeo Incatenato”, nella traduzione di Roberto Vecchioni: un Prometeo post-moderno che rilegge il mito eterno dell’insostenibile inadeguatezza degli esseri umani di fronte alla Natura.

Il fuoco come metafora della tecnica, forgia e distrugge e rigenera, indifferente e vitale. Lo spettacolo, in onda sabato 12 agosto alle 21.15 in prima visione su Rai 5, è stato ripreso nell’ambito della 58° stagione del Teatro Greco di Siracusa.

Il dio del fuoco, Efesto, inchioda a una roccia della Scizia (tra Polonia, Kazakistan, e Ucraina sudorientale) il ribelle Prometeo, sotto l’occhio vigile di Cratos (Potere) e Bia (Forza). Prometeo viene punito per avere fatto dono agli uomini del fuoco. Ai colpi martellati con fragore, accorre uno stuolo di Oceanine, cui Prometeo racconta di avere prima aiutato Zeus contro i Titani ribelli, di cui faceva parte, poi di essere passato dalla parte degli uomini.

Arriva in volo Oceano, parente e amico di Prometeo, per indurlo a piegarsi a Zeus, ma non ha successo. Arriva poi la vacca Io, vittima come lui di Zeus e poi di Era, cui il Titano predice il suo futuro e la fine di Zeus. Ermes inutilmente cerca di sapere quale sarà, e Prometeo viene sprofondato nelle viscere della terra.

«Guardate il dio incatenato e doloroso, il nemico di Zeus, il detestato da tutti gli dèi, perché amò i mortali oltre misura»

(Prometeo incatenato, Eschilo)

Prometeo incatenato (in greco antico: Προμηθεὺς δεσμώτης, Promēthéus desmṓtes) è una tragedia attribuita ad Eschilo. La data di prima rappresentazione è incerta, si ipotizza il 460 a.C. circa. L’opera faceva parte di una trilogia dedicata a Prometeo, di cui le altre parti non sono conosciute se non in forma di frammenti (Prometeo liberato e Prometeo portatore del fuoco). È incerto anche l’ordine delle tre tragedie, poiché è ignoto se il Portatore del fuoco fosse la prima o la terza parte.[1]

Trama

Dopo la rivolta di Zeus contro il padre Crono, e la guerra che ne segue, Zeus si insedia al potere e annienta i suoi oppositori. Prometeo, per aver donato il fuoco agli uomini, subisce la sua collera e viene incatenato ad una roccia ai confini della Terra nella regione della Scizia. Il dramma, interamente statico, mette in scena Prometeo di fronte a diversi personaggi divini, senza mai presentare un confronto diretto tra Zeus e il titano.[1]

La scena si apre in Scizia, fra aspri monti e lande desolate. Efesto, il Potere (Κράτος) e la Forza (o Violenza, Βία) hanno catturato il titano Prometeo e lo hanno incatenato ad una rupe. Zeus lo punisce perché ha donato il fuoco agli uomini, ribellandosi al suo volere. Non solo: egli ha dato agli uomini la speranza, spegnendo negli umani la vista della morte; inoltre ha dato a loro il pensiero e la coscienza, la scrittura, la memoria, la medicina, ma anche la capacità di interpretare attraverso la mantica, il volere degli dei, e il futuro. Il titano viene quindi raggiunto da vari personaggi, che tentano di portargli conforto e consiglio: le Oceanine, Oceano ed Io, amata da Zeus e per questo odiata da Era, a cui Prometeo predice il suo destino, ma anche il tortuoso futuro che Zeus ha dinanzi a sé. Egli annuncia che uno dei discendenti del nuovo re degli dei (il riferimento è ovviamente al semidio Eracle) riuscirà a liberarlo dalla punizione divina. Prometeo ha però una via di fuga dall’angosciosa situazione in cui si trova, perché egli conosce un segreto che potrebbe causare la disfatta del potere olimpico retto da Zeus. La minaccia consiste nel frutto della relazione fra Zeus e Teti, che potrebbe generare un figlio in grado di sbaragliare il padre degli dèi. Zeus invia il dio Ermes per estorcere il segreto a Prometeo, ma egli non cede e per questo viene scagliato, insieme alla rupe a cui è incatenato, nel Tartaro, un burrone senza fondo.[1]

Prometeo il ribelle

In tutta l’opera è costante la centralità del personaggio di Prometeo, un ribelle incapace di accettare l’ordine imposto da Zeus e dai nuovi dei, che pretendono di piegare ogni cosa alla loro volontà, ignorando la infelice condizione dei mortali, che spinge invece Prometeo, di origini divine, a dare loro aiuto.[2] Nell’opera è presentato il solo punto di vista del protagonista, che ripete la propria avversione per Zeus di fronte a numerosi personaggi, ma che appare portatore di un valore che non può non suscitare simpatia nello spettatore: la solidarietà verso gli uomini e la volontà di aiutarli a progredire facendo loro conoscere il fuoco.[3]

Prometeo, dunque, si presenta come portatore di luce e di progresso, anche a costo di sfidare la volontà di Zeus: una figura ben diversa da quella che appare nella Teogonia di Esiodo, in cui il titano è presentato come un briccone che sfida gli dei in una gara d’astuzia nella quale ad uscire perdente sarà proprio il genere umano. L’identificazione dello spettatore in Prometeo avviene in quanto il titano, come l’uomo aspira ad un di più che non gli è concesso; Prometeo appare così come un eroe confinato in un sistema di valori arcaico, dove l’ambizione a un di più è considerata un atto di tracotanza (hybris).[3]

Foto interna ed esterna: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2023/08/Elena-d9d5f9d5-1426-48af-ba99-e9654e254468-ssi.html