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Anticipazioni per il Grande Teatro di Patroni Griffi in TV del 21 agosto alle 15.50 su Rai 5: “Napoli notte e giorno”

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Anticipazioni per il Grande Teatro in TV di Giuseppe Patroni Griffi tratto da testi di Raffaele Viviani del 21 agosto alle 15.50 su Rai 5: “Napoli notte e giorno – Per il Grande Teatro di Giuseppe Patroni Griffi in TV andrà in onda oggi pomeriggio lunedì 21 agosto alle 15.50 su Rai 5 la commedia “Napoli notte e giorno” tratta dai testi di Raffaele Viviani nella versione trasmessa dalla Rai nell’aprile 1967 con la regia dello stesso Patroni Griffi.

Protagonista della commedia è il popolo notturno di Via Toledo, a Napoli, un campione d’umanità di pur diverse tipologie, ma saldato insieme dal comune destino di precarietà e di tragica labilità che è proprio del mondo della strada.

Napoli notte e giorno è uno spettacolo teatrale in due tempi del 1967, ideato e diretto da Giuseppe Patroni Griffi su testi di Raffaele Viviani.

Lo spettacolo è composto da due atti unici: “Via Toledo di notte” (Tuledo ‘e notte, 1918) e “La musica dei ciechi” (1927).

Giuseppe Patroni Griffi (Napoli27 febbraio 1921 – Roma15 dicembre 2005) è stato un registadrammaturgosceneggiatorescrittore e direttore artistico italiano.

È considerato «una delle personalità più versatili del panorama culturale italiano del secondo Novecento»;[1] un anticonformista spinto da un forte senso di libertà intellettuale.

Scrittore di romanzi e racconti, autore di film e sceneggiature, ha dedicato la sua vita soprattutto all’arte teatrale: autore di commedie di successo e metteur en scene di spettacoli (lirica e prosa) complessi e raffinati, sempre improntati su un’eleganza e una bellezza mai prive di autorevole ingegno. Da ricordare la proficua collaborazione artistica con il gruppo cosiddetto dei Giovani (De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli) di cui divenne commediografo di compagnia. A tal proposito racconta Giorgio De Lullo: «Sapevo che, quando Peppino avesse scritto la sua prima commedia, quella commedia fantomatica di cui ogni tanto si tornava a parlare, se fosse riuscito a vincere la sua pigrizia e la sua perplessità, non sarebbe stata certamente una “prima commedia”, un esordio, ma un frutto già maturo, con un sacco di esperienza teatrale dentro».[2]

Nel 1978 lo stesso De Lullo gli affidò la direzione artistica del neonato Piccolo Eliseo di Roma, spazio che Patroni Griffi riuscì a sfruttare al meglio portando in scena la nuova drammaturgia internazionale dell’epoca; mantenne l’incarico fino al 1981.

Successivamente fu direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma (2002-2005). Muore il 15 dicembre 2005, e in questo teatro sarà allestita due giorni dopo, alle 9, la camera ardente; il funerale sarà celebrato nello stesso giorno, alle 16, nella basilica di Santa Maria in Montesanto a piazza del Popolo. Riposa nel cimitero Flaminio a Roma.

Alla sua memoria è stata intitolata la sala del Piccolo Eliseo.

Raffaele Viviani, all’anagrafe Raffaele Viviano (Castellammare di Stabia10 gennaio 1888 – Napoli22 marzo 1950), è stato un attorecommediografocompositorepoeta e traduttore italiano.

«La lotta mi ha reso lottatore. Dicendo lotta intendo parlare, si capisce, non di quella greco romana che fa bene ai muscoli e stimola l’appetito, ma di quella sorda, quotidiana, spietata, implacabile che ogni giorno si è costretti a sostenere. E la mia vita fu tutta una lotta: lotta per il passato, lotta per il presente, lotta per l’avvenire. Con chi lotto? Non col pubblico, il quale anzi facilmente si fa mettere con le spalle al tappeto, ma con i mille elementi che sono nell’anticamera, prima di giungere al pubblico. Parlo del repertorio, delle imprese, dei trusts, dei trusts soprattutto. Oggi come ieri, l’uomo di teatro è in lotta continua coll’accaparramento dei teatri di tutta Italia, i quali sono tenuti e gestiti da pochissime mani, tutte strette fra loro.»
(Raffaele Viviani in Dalla Vita alle scene)

Nacque la notte del 10 gennaio 1888 a Castellammare di Stabia.

Il padre, vestiarista teatrale, divenne in seguito impresario dell’Arena Margherita di Castellammare di Stabia. Dopo un grave tracollo finanziario, la famiglia, con i piccoli Luisella e Raffaele, si trasferì a Napoli e fu lì che il padre fondò alcuni teatrini chiamati Masaniello. Questi piccoli teatri popolarissimi furono la prima scuola d’arte del piccolo Papiluccio (come veniva chiamato Raffaele in famiglia).

Raffaele la sera si recava con il padre al teatrino di marionette a Porta San Gennaro, entusiasmandosi per le avventure di Orlando e di Rinaldo, ma era affascinato dal numero finale del tenore comico Gennaro Trengi, famoso per i gilet coloratissimi, tanto che presto imparò tutto il suo repertorio a memoria. Un giorno il Trengi si ammalò e così, Aniello Scarpati impresario del teatrino, spaventato dal dover restituire i soldi del biglietto propose di far esibire il piccolo Raffaele. Fu vestito con l’abito di un “pupo” che la madre raffazzonò alla meglio. Il Trengi perse il posto, la stampa si occupò del piccolo prodigio che “canta canzoni a quattro anni e mezzo“. Ogni sera accorse più gente per vedere il piccolo Papiluccio che presto ebbe una vera paga per quattro spettacoli serali e otto la domenica. Gli fu affiancata una giovane cantante, Vincenzina Di Capua, come duettista.

Nel 1900, con la morte del padre, quello che Raffaele aveva fatto per divertimento, dovette continuarlo per necessità. Cominciò a lavorare a cinquanta centesimi per sera, che servivano in parte a sfamare la famiglia. Ma subito comprese che, per farsi strada, avrebbe dovuto differenziarsi dagli altri, e cominciò a scrivere canzoni.

Furono anni di miseria, ma anche di studio e di formazione, si andava formando nella mente del piccolo artista quella visione poetica di un mondo popolare che avrebbe portato poi alla creazione di un suo teatro.

La morte del padre lasciò la piccola famiglia in una situazione difficilissima. Il piccolo Papiluccio si mise in cerca di una scrittura. Fu ingaggiato da un impresario di giostre e numeri di circo, tale Don Ciccio Scritto, come Don Nicola nella Zeza, una specie di zarzuela carnevalesca con Pulcinella e Colombina (questa esperienza fu ricordata in seguito in Circo Equestre Sgueglia, una commedia del 1922). Ricominciava dal più basso livello dell’arte teatrale, lavorando dalle due fino a mezzanotte per 50 centesimi al giorno. La seconda scrittura fu con la compagnia Bova e Camerlingo, per una tournée in alta Italia assieme alla sorella Luisella, come duo di giovani cantanti. Partirono con la madre che si era improvvisata impresaria. Fu un fiasco. La famiglia tornò a Napoli, ma Viviani riuscì ad avere una scrittura al Concerto Eden di Civitavecchia. Sostituiva un giovanissimo Ettore Petrolini, col quale nacque un’amicizia fraterna che sarebbe durata tutta la vita.

Il guadagno consisteva per ogni artista nello girare con il piattino fra il pubblico. Dopo tre mesi il locale fu chiuso dalla Questura. Viviani, senza una lira, si rivolse al commissariato per essere rispedito a Napoli. Nell’attesa dei soldi per il viaggio, il giovanissimo attore fu rinchiuso (come misura protettiva) in cella di sicurezza, aveva tredici anni. Tornato avventurosamente a Napoli, dove riuscì a trovare una scrittura al teatro Petrella. Un locale vicino al porto frequentato da marinai, doganieri, scaricatori e prostitute. In breve divenne il beniamino di quel pubblico singolare.

Al Petrella, Viviani interpretò per la prima volta Scugnizzo di Giovanni Capurro e Francesco Buongiovanni. Lo “scugnizzo“ era un cavallo di battaglia del comico Peppino Villani al teatro Umberto I e Viviani – dopo essersi procurato parole e musica – ne fece una sua interpretazione che ebbe un enorme successo che portò lo stesso Villani a smettere di fare “lo scugnizzo”. Viviani passò dal Petrella all’Arena Olimpia e intraprese quel cammino che lo avrebbe portato ad essere una stella di prima grandezza. Nel 1905 scrive per la sorella Luisella Bambenella ‘e ngopp’ ‘e Quartieri.

L’Eden, dove Viviani era stato scritturato, era diventato l’unico caffè concerto di Napoli dopo la chiusura del salone Margherita.

Viviani desideroso di creare un repertorio che lo differenziasse dagli altri autori, cominciò a scrivere i propri “numeri”. Per le musiche ingaggiò un maestro di pianoforte al quale canticchiava i motivi che venivano trascritti in note, quello che in termini tecnici si chiama “un melodista non trascrittore” (come sarà Chaplin). Nasce “Fifi Rino” la stilizzazione marionettistica del “gagà” aristocratico e dannunziano. Questo personaggio di Fifi Rino ebbe un grande e lungo successo, ripreso posteriormente da comici come Gaspare Castagna e Palmieri (detto il comico di caucciù) e da Mongelluzzo a Gustavo De Marco e fino alle esibizioni di un giovanissimo Nino Taranto e soprattutto di Totò[1].

Ricorda Viviani: Cominciò così per me un triplice travaglio. Prima imparare a scrivere, poi il repertorio; e dedicai tutti i giorni e parte delle notti al lavoro; le musiche me le facevo scrivere dopo averle canticchiate al maestro Enrico Cannio e così, in quindici giorni vennero fuori i primi miei sei tipo realistici e di ispirazione popolare che dovevano dare il trionfale inizio alla mia ascesa. Avevo badato alla grammatica, non già come al tempo della mia prima macchietta “Fifì Rino” scritta da me, con la grafia di un bambino di prima elementare[2] Nascono le tipizzazioni di Prezzetella ‘a capera (Brigida la pettinatrice) che Viviani recitava in abiti femminili, ‘O tammurraro, ‘O pezzaiuolo, Pascale d’ ‘a cerca, tutti tipi che verranno in seguito inseriti negli atti unici.

La situazione economica della famiglia Viviani ebbe una svolta positiva che gli permise di lasciare la casa di vico Finale al Borgo Sant’Antonio Abate, e di potersi permettere l’acquisto di un pianoforte. Una sera al teatro Nuovo di Napoli, conobbe Maria Di Majo, la bella nipote di Gaetano Gesualdo, finanziatore e impresario del teatro. Dopo alterne vicende, e qualche difficoltà con la famiglia di lei, che non vedeva di buon occhio il matrimonio con un comico, i due si fidanzarono e dopo cinque anni si sposarono. Ebbero quattro figli Vittorio, Yvonne, Luciana e Gaetano.

Nell’estate del 1908, va a Roma dove interpreta tre film e viene scritturato per l’inaugurazione del teatro Jovinelli. Il successo di quegli anni è testimoniato dai contratti (che si conservano alla Biblioteca Lucchesi Palli presso la Biblioteca Nazionale di Napoli) dal 1910 in poi, viene chiamato in tutte le importanti sale di varietà d’Italia (a Roma Jovinelli e Sala Umberto, Torino Varietà Maffei, a Milano il Morisetti e l’Eden, a Napoli la Fenice, l’Umberto e l’Eden).

Foto interna ed esterna: https://www.youtube.com/watch?v=qfM_de5ZptY