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Quel genocidio in Ruanda 30 anni fa che la religione non fermò

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Quel genocidio in Ruanda 30 anni fa, che la religione non fermò

“La Francia avrebbe potuto fermare il genocidio in Ruanda, ma non ne ha avuto la volontà». Con un comunicato stampa dell’Eliseo di giovedì, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha confermato «le responsabilità» del suo paese riguardo al massacro dei Tutsi che, a partire dal 7 aprile 1994, causò la morte di oltre 800mila persone!. Questo è quello che riportava il quotidiano Il Manifesto due giorni fa.

Sono passati 30 anni dall’orribile massacro innescato dalla morte del Presidente hutu ucciso in un attacco missilistico sul suo aereo sopra la capitale Kigali. La morte di Habyarimana diede il via a 100 giorni di violenza nel piccolo Paese, perpetrata principalmente da Hutu contro Tutsi e Hutu moderati. Più di un milione di persone furono uccise, molte massacrate con i machete, dalla milizia conosciuta come Interahamwe. Sono in tanti e rievocare in questi giorni il terribile massacro stigmatizzando che l’occidente assistette senza intervenire, fatto divenuto non secondario da molti nella commemorazione del genocidio.

Ma che ruolo ebbero le chiese per fronteggiare la terribile situazione? Che resistenza opposero o quali complicità possono essere rilevate a distanza di anni con gli eventi studiati e documentati? Va ricordato infatti, come riportato nel National Catholic Reporter, nel 1994 il 70% della popolazione si dichiarava cattolica. La Chiesa Cattolica e altre chiese cristiane gestivano la maggioranza delle scuole elementari e superiori.

Per la verità fu Papa Paolo Giovanni II a intervenire subito, per così dire in diretta, mentre le machete scintillavano nell’aria e tagliavano, squartavano altri essere umani “colpevoli” di far parte di un’altra etnia. Già Il 9 aprile 1994, in un primo messaggio indirizzato alla comunità cattolica del Ruanda, Papa Giovanni Paolo II supplicò “di non cedere a sentimenti di odio e di vendetta, ma a praticare coraggiosamente il dialogo e il perdono”. “In questa tragica tappa della vita della vostra nazione – scrisse il Papa – siate tutti artefici di amore e di pace”. (Agenzia Fides, 3 aprile 2024). Ironia della sorte, la tragedia coincise con un avvenimento storico per la Chiesa del Continente: la Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, sul tema “La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: ‘Sarete miei testimoni’ (At 1,8)”

Appello che non fu raccolto da centinaia di migliaia di cattolici ruandesi. La domenica 15 maggio del 1994 Papa Wojtilya recitò la preghiera del Regina Coeli dal Policlinico Gemelli, dove si trovava ricoverato in seguito ad una caduta, e ancora una volta ricordò l’agonia del popolo ruandese: “Sento il dovere di evocare, oggi ancora, le violenze di cui sono vittime le popolazioni del Ruanda. Si tratta di un vero e proprio genocidio, di cui purtroppo sono responsabili anche dei cattolici”. Anche questa volta il Papa esortò a deporre le armi e ricordò che di fronte a Dio tutti avrebbero risposto delle loro azioni criminali. Seguirono altri appelli dei vescovi e altre autorità cattoliche che però non portarono a nessun esito pratico e positivo.

Con il tempo questa responsabilità dei cattolici nei confronti del genocidio è stata riconosciuta dagli stessi vescovi cattolici. Il 23/11/2016 il quotidiano della CEI, Avvenire titolava: “Genocidio del 1994. La chiesa chiede perdono”. Il giornale riportava che “in coincidenza con la chiusura del Giubileo della Misericordia, la Chiesa cattolica ruandese ha chiesto ufficialmente scusa per il “ruolo svolto da molti fedeli” durante il genocidio. Sempre nel quotidiano si leggeva: “Ci scusiamo in nome di tutti i cristiani per tutti gli errori commessi”, recita una lettera letta domenica scorsa in varie parrocchie nella lingua locale, kinyaruanda. “Ci dispiace che membri della chiesa abbiano violato il loro giuramento di obbedienza ai comandamenti del Signore. Perdonateci per i crimini di odio nel Paese, i quali – continua il documento – ci hanno portato ad odiare a causa dell’etnica. Non abbiamo mostrato di essere una sola famiglia, ma invece ci siamo uccisi a vicenda». Le uccisioni colpirono i tutsi (ma non vennero risparmiati anche gli hutu, moderati che tentarono di opporsi alle azioni dei compagni). La lettera, scritta su iniziativa della Conferenza episcopale del Ruanda (Cer), rappresenta la prima scusa ufficiale che coinvolge l’intera comunità cattolica del Paese. Molte altre volte, però, la chiesa ruandese, cattolica e protestante, ha chiesto perdono per i propri fedeli che hanno «direttamente o indirettamente ucciso” i loro connazionali. Secondo diverse testimonianze, infatti, gran parte delle vittime del genocidio aveva trovato rifugio nelle chiese prima di essere ferocemente sterminate dai loro aggressori.”

 Le Monde nel 1994, mentre si accumulavano cadaveri, chiedeva: “Come si fa a non pensare che i tutsi e gli hutu che si combattono nel Burundi e nel Ruanda sono stati educati dagli stessi missionari cristiani e frequentano le stesse chiese?”

La religione accusata di essere l’oppio dei popoli da Marx e compagni nel 19°secolo, si è tramutata in “eroina” nel 20°, contribuendo a eccitare gli animi in guerra e a volte giustificando le azioni – anche le più efferate – dietro un bieco nazionalismo, interessi di potere, di denaro o legati alla politica, contravvenendo proprio al messaggio di amore e di pace di Cristo.

E nemmeno quando le si chiedeva di agire da deterrente è riuscita ad arginare l’odio tra essere umani. I genocidi, come evidenziato nel libro di Daniel Goldaghen, Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità, hanno trovato terreno fertile in ampie fasce della popolazione attivando la politica eliminazionista non solo in campo militare ma spesso tra la gente comune; un piano ideologico seguito dalle masse e non solo dai soldati o dai professionisti della guerra. Cosi è successo in Ruanda,- la Svizzera dell’Africa- dove persone convissute una vita intera senza problemi, da un giorno all’altro sono divenuti nemici da odiare e poi da sopprimere. E tristissimo, spesso professandosi religiosi e devoti a Cristo, quello considerato universalmente da cattolici, protestanti e altri “il Principe della Pace”.

Roberto Guidotti