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Anticipazioni per Omaggio a Giorgio Albertazzi con le “Storie della Tv” e gli sceneggiati su Rai Storia del 20 agosto alle 18

albertazzi

Anticipazioni per Omaggio a Giorgio Albertazzi con le “Storie della Tv” e gli sceneggiati su Rai Storia del 20 agosto alle 18 – Lo sceneggiato – un genere andato in onda già agli albori della Tv e diventato subito una forma di racconto molto popolare – è anche e soprattutto una “fabbrica di divi, attori che diventano amatissimi dal pubblico grazie ai ruoli” interpretati sul piccolo schermo.

Tra questi, Alberto Lupo e Giorgio Albertazzi, due grandi interpreti che hanno saputo attraversare tutti i mezzi, dal teatro al cinema alla televisione e che, nella memoria collettiva, sono le icone dello sceneggiato. Due personaggi protagonisti di “Storie della Tv”, il programma di Rai Cultura, in onda domenica 20 agosto alle 18.00 su Rai Storia, in occasione del centesimo anniversario della nascita di Giorgio Albertazzi. Il programma ripercorre le loro carriere, soffermandosi in modo particolare sul teleromanzo, per riaccendere i riflettori sul loro straordinario e ineguagliabile talento.

A raccontarli, lo storico della televisione Aldo Grasso, Giuliana Lojodice, Valeria Fabrizi e Massimo Ghini.
Non si tratta solo di teatro filmato e trasferito alla televisione, ma di un racconto corale, per lo più ispirato ai capolavori della letteratura mondiale, messo in scena da grandi talenti, registi che si avventurano in ricostruzioni ardite, lunghissime prese dirette e nuove modalità narrative. 

Giorgio Albertazzi (Fiesole20 agosto 1923 – Roccastrada28 maggio 2016) è stato un attore e regista teatrale italiano.

Attore di teatro attivo per decenni sulle scene fu anche uno dei primi divi televisivi, protagonista di letture poetiche e di sceneggiati di grande successo.

È nato a Fiesole, in provincia di Firenze il 20 agosto 1923. Trascorse l’infanzia a Fiesole, in una dépendance della Villa I Tatti di Bernard Berenson, presso cui prestava servizio suo nonno Ferdinando[1].

Memorie di Repubblichino

L’adesione alla Repubblica Sociale non fu mai rinnegata da Albertazzi; la questione fu più volte argomento di polemica, ad esempio quando fu nominato alla guida del Teatro di Roma[2], o quando, qualche anno prima, gli era stato revocato all’ultimo momento un incarico come docente a contratto all’Università di Torino[3].

In più occasioni l’artista dichiarò di aver compiuto quella scelta per ragioni di famiglia e di ideale. Nel 1989 disse in un’intervista: «…scelsi, volutamente, la causa persa, per il piacere dell’avventura»[4]. Altrove spiegò: «Per chi come me aveva il mito non tanto del Duce ma di Ettore Muti, ucciso dai badogliani, di Italo Balbo, abbattuto nel cielo della Sirte, degli eroi della Folgore disfatti a El Alamein, la “parte legale”, l’Italia, era quella. E io ho combattuto per l’Italia[1].Più tardi ulteriormente precisò: «Ho aderito alla Repubblica Sociale perché venivo fuori da una famiglia che aveva vissuto il fascismo, e per me e altri era la scoperta di una via socialista anticlericale e contro il re, e sono coscientissimo che, sia quelli che si sono schierati come me, sia quelli che hanno abbracciato un’ideologia partigiana volevano altrettanto sostenere una posizione di dignità, di morale e di fermezza […]. L’identità che man mano m’è venuta fuori è quella di un anarchico di centro.»[5][6]

Nel 1943 aderì alla Repubblica di Salò, ricoprendo il grado di sottotenente nella 3ª Compagnia della “Legione Tagliamento” – GNR, dopo aver sostenuto un corso di formazione di otto mesi presso la Scuola allievi ufficiali di Vicenza e poi di Lucca. Con la sconfitta della R.S.I. nel 1945 fu arrestato con l’accusa di aver comandato a Sestino, il 27 luglio 1944, il plotone di esecuzione del partigiano Ferruccio Manini, e di collaborazionismo. Fu rinchiuso nel Campo di concentramento di Coltano[7], trascorse due anni in carcere a Firenze, a Bologna e a Milano, per essere poi liberato nel 1947 a seguito della cosiddetta “amnistia Togliatti“. Albertazzi dichiarò di essere stato prosciolto in fase di istruttoria dal Tribunale militare di Milano nel 1948 per non aver commesso il fatto[4] e non confermò mai la sua presenza nella 3ª Compagnia, 2º Plotone fucilieri del LXIII Battaglione “M”, che operò nella sanguinosa repressione antipartigiana fra il settembre del 1944 e l’aprile del 1945.

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